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Una mente nostalgica che butta sempre un occhio al passato e l'altro pure! Affetta da Anglofilia acuta, divoro compulsivamente serie tv, musica anni '90 e la mia wishlist libresca copre esattamente la distanza da Thornfield Hall a Magrathea.

30 gen 2017

Parole, immagini e suoni. Il mio 2016 #3-Immagini

Breve storia triste di una malata teleseriale.
C'era una volta la mia vita sociale, poi è arrivato Netflix e...ciaone proprio!
Eh già. Anch'io, come circa altri 90 milioni di individui al mondo, sono caduta nella rete, e mi si consenta il gioco di parole, della nota piattaforma di streaming online.
Fiumi di parole si sono sprecati per tentare di spiegarne il successo.
Interminabili pipponi socio-economici sono apparsi a cadenza regolare su riviste del settore e non.

Questo servizio offre, a prezzi accessibilissimi, un catalogo vario e originale, che cresce di giorno in giorno ed al quale si può accedere nella modalità che si preferisce. Tra film, serie tv, documentari e tanto altro c'è l'imbarazzo della scelta per tutta la famiglia. Dallo scorso settembre inoltre, grazie ad un accordo con la Disney, il catalogo si è arricchito di tanti contenuti anche per i più piccoli. A questo punto non serve un trattato di economia per comprenderne il sempre più crescente successo su scala mondiale. Lo spettatore moderno è perlopiù squattrinato ma dispone, bene o male, di una connessione internet. Ha i suoi tempi e vuole intrattenimento, possibilmente accontentando tutta la famiglia.
Netflix viene incontro a tutti questi bisogni. Con pochi euro al mese si può accedere alla versione base e in men che non si dica ti ritrovi a guardare una stagione intera di una serie tv in un giorno solo.
 Da qui il termine bingewatching, o, se preferite, la maratona divanesca de 'noantri, disciplina nella quale, modestamente, sono campionessa olistica, per dirla alla Dirk Gently.

Altro fattore vincente è, indubbiamente, la scelta di Netflix  di crearsi i contenuti da sé: film, serie tv e documentari originali, prodotti con i propri soldini, fruibili nella loro interezza non appena vengono messi online. Contenuti vari che incontrano i gusti degli spettatori più diversi non solo per età, come già anticipato, ma anche per cultura. Una delle ultime serie che mi è capitato di seguire, per esempio, è un thriller fantascientifico prodotto interamente in Brasile. 3%, il titolo della serie, che ha conquistato tutta l'America latina ma che non ha nulla da invidiare a serie analoghe andate in onda negli ultimi anni in Europa o Stati Uniti.

No, non sono stata pagata da Netflix per intessere questo panegirico, se qualcuno se lo stesse chiedendo.
Non ho potuto fare a meno di notare però, dando uno sguardo al mio anno telefilmico, che la maggior parte delle immagini che l'hanno segnato provengono, in larga misura, da questa piattaforma. Mi sembrava perciò anche giusto spiegarne i vantaggi, nel caso qualcuno ne fosse interessato. Come altrettanto giusto è sottolineare il fatto che se siete alla ricerca di un sito di streaming online che vi proponga blockbusters in prima visione et similia, Netflix non fa per voi.

Ma torniamo alla sottoscritta e al diario per immagini del 2016.
A me il passatempo visivo appassiona di più sulla lunga distanza, non ci posso fare nulla.
Certo amo anche i film, soprattutto quelli datati.  Ma per quanto riguarda le nuove uscite spesso il prezzo proibitivo del biglietto del cinema mi frena.
Da quest'anno però, impegni permettendo, vorrei approfittare del Cinema2day, l'iniziativa del Ministero dei Beni culturali che ogni secondo mercoledì del mese ci permette di andare al cinema al costo di 2 euro.
In ogni caso quest'anno è stato davvero un anno ricco di belle storie.
Non le cito tutte ovviamente, sarebbe impossibile.
Voglio però spendere due parole su quelle serie che, per un motivo o per un altro, mi hanno conquistato al 100% e che continuerò senz'altro.
Nello specifico parlo di Jessica Jones, Stranger things e The Crown. Tutte e tre serie targate Netflix, ecco perché il polpettone iniziale era una doverosa premessa.



MARVEL'S JESSICA JONES


Pubblicata a novembre del 2015, è stata la serie che ha inaugurato il mio anno telefilmico 2016.
Con Jessica Jones prima, e con Daredevil e Luke Cage poi, Netflix si è creata il suo personale micro universo Marvel all'interno di quel macro MCU, il Marvel Cinematic Universe, che ci tiene compagnia dal 2008. Quello di Thor e compagni, per capirci.
E lo fa perché, se è vero che queste storie vanno a incastrarsi perfettamente con gli eventi del filone principale, esse sono però caratterizzate da uno stile ed un'identità del tutto personali, che le portano a differenziarsi, non solo dall'universo madre, ma anche l'una dall'altra. La bravura degli attori, ma anche costumi, scenografie e musiche fanno sì che questa costola dell'universo Marvel si discosti dalle mastodontiche e roboanti imprese di dei norreni e miliardari eccentrici, pur continuando a condividerne la realtà narrativa. In Jessica Jones, ad esempio, l'atmosfera è più dark. Grazie anche ad un'azzeccatissima colonna sonora, firmata da Sean Callery-già vincitore di un Emmy per la soundtrack della serie tv 24- veniamo calati in un clima molto simile a quello dei classici noir. Ed è proprio questo aspetto che mi ha subito catturato.

 Uno dei personaggi più recenti dell'universo Marvel Comics, Jessica Jones è stata creata da Brian Michael Bendis e disegnata da Michael Gaydos nel 2001. Un esempio di quei personaggi cosiddetti a continuità retroattiva. Gli autori cioè l'hanno presentata come un personaggio già esistente ma che non era stato approfondito, legandola, grazie a questo espediente, ad altri personaggi cardine del mondo Marvel, Peter Parker e Tony Stark tra gli altri.
Ha una mente molto sviluppata, il che la rende un'investigatrice dotatissima, ma ha anche una forza sovrumana ed è capace di levitare. A seguito di un evento traumatico, provocatole dall'Uomo Porpora, inizierà a soffrire di PSTD, disturbo post-traumatico da stress. Deciderà così di abbandonare la vita da supereroe e aprire un'agenzia investigativa privata, la Alias investigations.
La serie parte proprio da questo momento. Nei panni della protagonista la bravissima Krysten Ritter, la Jane Margolis di Breaking bad. L'attrice riesce a rendere palpabile tutto quel disagio che il personaggio si porta dentro. La Jessica che ci viene presentata qui in fondo non è più un supereroe, ma si trova a dover combattere ancora una volta con i demoni del suo passato che, per una serie di circostanze, riaffiorano nel suo presente.

Faremo così la conoscenza di Kilgrave, l'Uomo Porpora, interpretato da un impeccabile David Tennant, entrato nel cuore di tanti grazie alla sua interpretazione del Decimo Dottore in Doctor Who.
Nonostante abbia apprezzato tantissimo anche Daredevil e Luke Cage, tra le tre Jessica Jones rimane la mia serie preferita. I suoi conflitti interiori, il suo altruismo, nonostante la paura che la paralizza, le sue fragilità, ma anche la sua forza mi hanno davvero appassionata. Sia Jessica che Kilgrave vengono esplorati psicologicamente in modo convincente ed avvincente. Tanti altri aspetti sono sicura che verranno approfonditi nel corso della seconda stagione.
Anche se prima di vederla ce ne vorrà...
Nel prossimo mese di marzo infatti, alle tre serie citate se ne andrà ad aggiungere una quarta, Iron fist, basata sull'omonimo personaggio della Marvel Comics. La quaterna di supereroi andrà poi, sempre nel corso del 2017, a convergere nel crossover The Defenders andando così a completare le fondamenta di questo micro universo Marvel targato Netflix.
Insomma siamo solo all'inizio!




STRANGER THINGS


Non mi dilungherò molto in questo caso perché su questa serie, creata dai fratelli Duffer, è già stato detto di tutto e di più.
Probabilmente è stata, assieme a Westworld, della HBO, la serie dell'anno.
Buona parte del suo successo è dovuto certamente all'effetto nostalgia.

Ambientata nel 1983, grazie anche alla sempre crescente retromania che soprattutto in ambito cinematografico negli ultimi anni ha prodotto decine di remake, reboot, retelling di grandi successi del passato recente, ha conquistato non solo i figli degli anni '80 come me ma anche le nuove leve. Pur attingendo a piene mani dal passato Stranger things ha però in sé tutte le caratteristiche dello storytelling moderno. Con questo intendo nello specifico il tipo di narrazione adottato: in pochi episodi, 8 in questo caso, abbiamo un'inizio, lo sviluppo della storia ed una fine. Nonostante molte domande, dopo l'epilogo, rimangano senza risposta, invogliandoci a saperne di più, si ha comunque la sensazione che l'arco narrativo sia definitivamente concluso. Una formula questa che si sta sempre più diffondendo tra le serie tv. Le già citate Jessica Jones, Westworld, e tante altre seguono questo modello. Una sorta di film lungo, se vogliamo chiamarlo così, che ha attirato a sé anche i più restii alle storie a episodi.

Al centro di questa storia ci sono quattro ragazzini, amici per la pelle. Uno di loro, Will Byers, scompare misteriosamente. Nello stesso momento una loro coetanea scappa da una sorta di laboratorio segreto situato nei pressi della cittadina fittizia dell'Indiana dove si svolgono i fatti. Durante la sua fuga incontrerà i tre amici di Will: Mike, Lucas e Dustin, che si sono messi alla ricerca del loro amico scomparso. Faremo così la conoscenza della piccola Undi,  chiamata così dagli altri per il numero undici tatuato sul suo braccio*, dello sceriffo Hopper, capo della polizia locale, di Joyce e Jonathan, rispettivamente madre e fratello del bambino scomparso, e di altri personaggi secondari che hanno però tutti un ruolo importante da giocare in questo piccolo grande puzzle.


Le atmosfere sin da subito ci riportano indietro nel tempo. Siamo negli anni '80 e i rimandi ad altri film, oggetti e musica della cultura pop di quel periodo si sprecano. A partire dalla colonna sonora, con il synth che la fa da padrona, e proseguendo con il cast. Da una Wynona Ryder in grande spolvero, che interpreta magistralmente la disperata e nevrotica Joyce, madre di Will, a Matthew Modine, il marine Joker di Full metal jacket, che veste i panni di quello che possiamo definire il villain della storia.
Di sicuro però chi ha definitivamente conquistato il mio cuore e mi ha fatto innamorare di questa serie sono i bambini, i protagonisti. Su tutti spicca la bravissima Millie Bobby Brown, "Undici", che con la sua espressività mi ha fatto commuovere, arrabbiare, tifare per lei e i ragazzi. Una combriccola che ne porta alla mente altre, dai Goonies di Spielberg, ai sette amici di Derry protagonisti di It di Stephen King, con tutto il loro bagaglio sci-fi e horror al seguito.
Tra i pochi dettagli trapelati riguardo alla prossima stagione c'è quello che vuole proprio uno dei protagonisti dei Goonies, Sean Astin, come new entry nel cast. Staremo a vedere!

*Nella versione originale i ragazzi la chiamano Elle da eleven



THE CROWN


Ed ecco infine l'ultima serie con la quale si è concluso il mio 2016 telefilmico.
Iniziata per noia e con l'unico scopo di vedere Matt Smith "svestire" i panni del Dottore, si è rivelata una delle serie preferite dell'anno.
Intendiamoci, io vado matta per i period drama, ma sinceramente ero un po' restia nei confronti di The Crown, dato che da poco ho recuperato quel capolavoro del 2006 di Stephen Friars, The Queen, con Helen Mirren nei panni della regina Elisabetta, e non credevo di trovare niente che potesse eguagliarlo.

Ma ci sono tanti modi di raccontare una storia e Netflix ha deciso di farlo partendo da quando Elisabetta II era ancora Lilibeth, una principessa che vedeva ancora lontano quel trono ma che ben presto ha dovuto occupare. Viviamo così con lei i timori, i dubbi di una giovane inesperta che si ritrova Regina del Regno Unito senza aver avuto un'adeguata preparazione.
Vediamo crescere in lei la consapevolezza che per salvaguardare la pace del Regno spesso dovrà sacrificare la pace della propria famiglia e che per tenere testa al primo ministro e agli uomini di potere avrà bisogno di una preparazione adeguata. E combattiamo con lei mentre si fa strada per abbattere i pregiudizi di chi, a causa della giovane età ed il sesso, la reputa incapace di governare.  La prima stagione conta 10 episodi. Parte dal matrimonio tra Elisabetta e il principe Filippo (1947) e si conclude all'incirca nel 1955, anno delle dimissioni di Churchill. Il progetto di Netflix è ambizioso: questa dovrebbe essere la prima di sei stagioni. Ogni due anni il cast andrà rinnovato, invece che invecchiato con il trucco. Queste per ora sono solo voci di corridoio. Chi vivrà vedrà.

Di questa prima stagione ho amato molti aspetti. L'interpretazione degli attori prima di tutto.
Claire Foy è perfetta nei panni di Elisabetta e mi ha davvero colpito Matt Smith che qui interpreta il principe Filippo, un ruolo così diverso da quello con cui l'avevo conosciuto.
Ma le interpretazioni che ho amato in assoluto sono state quelle di Vanessa Kirby che presta il volto alla Principessa Margaret e John Lithgow nei panni del primo ministro Winston Churchill.
Quest'ultimo in particolare mi ha davvero spiazzata. Per mia ignoranza ricordavo l'attore solo per la serie Una famiglia del terzo tipo (3rd Rock from the Sun). Vederlo in un contesto lontanissimo da questo, calato perfettamente in un personaggio complesso come quello di Churchill, mi ha a dir poco incantata.

Un altro aspetto che ho particolarmente apprezzato è che la Storia non fa da semplice contorno.  L'azione è interessante anche fuori da Buckingham Palace. Assistiamo ad esempio ai test sovietici della bomba atomica, così come alle prime avvisaglie della Crisi di Suez e addirittura un intero episodio è dedicato al "Grande smog" di Londra del 1952, che causò gravi problemi respiratori e uccise migliaia di persone.
E poi chiaramente ho adorato i costumi, gli ambienti e tutte le caratteristiche tipiche del period drama, tanto che, una volta finito, ho avuto il "blocco telefilmico" che è tale e quale al "blocco del lettore". Sono rimasta cioè intrappolata tra le mura dei palazzi inglesi e ancora non riesco ad uscirne. Così, visto che ci sono, mi sono buttata a capofitto su Downton Abbey.
Scorgo un altro tunnel all'orizzonte. Ma quale orizzonte...Ci ho già messo la carta da parati!



Pace & maratone olistiche
Stay tuned




15 gen 2017

Parole, immagini e suoni. Il mio 2016 #2-ANCORA PAROLE

Riprendo un po' da dove avevo lasciato per concludere in qualche modo la parte libresca del mio 2016. Vorrei parlare di tre libri che in qualche modo hanno disatteso le mie aspettative, o hanno qualche difetto che non mi ha permesso di apprezzarli completamente.
Sono romanzi per cui provo sentimenti contrastanti perché non sono state delle brutte letture in fondo, ma non mi hanno neanche convinto a pieno. Dei libri un po "meh", diciamo.

Inizio da quello che ho letto prima e che mi ha delusa di più. Probabilmente è successo perché gli facevo la corte da tempo immemore, visto il suo prezzo proibitivo. Quando me lo sono ritrovato tra le mani, scontato del 50%, ero felicissima. Finito di leggere ero arrabbiatissima.
 Ma andiamo per gradi.


 I MAESTRI OSCURI 






Titolo: I maestri oscuri
Autore: Karen Maitland
Editore: Piemme
Data di uscita: 14/07/2009
Pagine: 466



Se sulla copertina, tra l'altro bellissima, c'è scritto "thriller storico" uno si aspetta quello che c'è scritto. Sul fatto che sia un romanzo storico non ci sono dubbi. Ci sono elementi mystery, è vero, ma non fanno di quest'opera un thriller.
La parte storica invece è non solo sviluppata con maestria ma porta all' attenzione del lettore un fenomeno poco conosciuto della storia medievale: il beghinaggio.

-ALCUNI CENNI STORICI-
Nelle Fiandre, ma anche in parte della Francia e della Germania, nel corso del XII secolo molte donne sole di bassa estrazione sociale, spesso rifiutate dai conventi femminili che preferivano accogliere donne nobili, si riunivano nelle periferie delle città, pregando e dedicandosi ad attività manuali. Col passare del tempo molte di esse si riunirono in comunità, denominate beghinaggi (probabilmente dal francese begard, mendicante). In realtà le beghine non mendicavano ma producevano esse stesse ciò di cui avevano bisogno e si dedicavano a lavori manuali come la filatura e la tessitura della lana.
Queste donne non erano suore, non prendevano i voti ed erano libere di tornare alla loro vita, qualora ne avessero il desiderio. Erano una sorta di suore laiche, che vivevano in castità e si dedicavano alla carità. Molte comunità infatti si dedicavano alla cura dei malati e all'accoglienza di donne sole e in difficoltà. Le istituzioni ecclesiastiche guardavano con sospetto la nascita di queste associazioni in seno alla Chiesa, oltretutto portate avanti da donne. Furono accusate di diffondere eresia, furono represse e molti istituti furono soppressi. Molti di questi edifici però sono sopravvissuti fino ad oggi. 

Il famoso beghinaggio di Bruges, in Belgio, ne è un esempio. Nel 2002 è stato dichiarato Patrimonio dell'Unesco.
(Fonti: Wikipedia; Eresie.it; easyviaggio.com)


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Anche se in Inghilterra fu un fenomeno che non prese piede, è proprio qui che si svolgono le vicende del romanzo della Maitland. 

Qualche cenno sulla TRAMA: Siamo nel 1321, una comunità di beghine, partite dal nord della Francia, ha deciso di stabilirsi a Ulewich, fittizia cittadina inglese, per portare aiuto ai bisognosi e trasmettere così un messaggio di pace. 
La libertà che queste donne rappresentano sembra minare le certezze della piccola realtà contadina generando sentimenti di sospetto da parte dei maestri oscuri, una sorta di setta del luogo. Questi si rendono conto dell'influenza che le beghine esercitano sulla gente comune, vessata da tempo dai loro soprusi, e sentendosi minacciati dal loro potere fanno in modo di renderle colpevoli agli occhi del popolo.  Quando inizieranno ad accadere fatti inspiegabili, come uccisioni di animali, raccolti distrutti e addirittura lo scoppio della peste, verranno additate come streghe, responsabili di questi atti criminosi.  



Ciò che più ho apprezzato di questo romanzo è, come già accennato, l'aspetto storico. Sin da subito si ha la sensazione di trovarsi catapultati nel medioevo.
Ogni capitolo ci viene narrato da un personaggio diverso offrendoci così una panoramica a 360° dell'ambiente e delle vicende. L'alternanza dei vari punti di vista e la brevità dei capitoli crea un ritmo narrativo sostenuto che ci porta da un ambiente all'altro in poco tempo, conferendo all'esperienza di lettura  un taglio cinematografico. Questi punti di vista poi non sono mai scollegati uno dall'altro e, soprattutto, fanno sì che di ogni personaggio conosciamo i sentimenti, la paura, i dubbi e decidiamo subito da che parte stare. Fin qui niente da dire. 

Cos'è allora che mi ha fatto storcere il naso e non apprezzare a fondo questo libro? La nota dolente, a mio parere, è che tutte le aspettative create attorno ai Signori del Gufo, aka i maestri oscuri, vengono disattese malamente. "Much ado about nothing" direbbe il Bardo. Tutto fumo e niente arrosto dico io. L'alone di mistero che aleggia intorno a loro aumenta la nostra curiosità ma alla fine l'immagine che ci viene restituita è quella di un'organizzazione criminale locale, dei delinquenti autorizzati , niente di più e niente di meno. Inoltre quello che voleva essere il colpo di scena finale è una rivelazione telefonatissima, elemento che disturba ancora di più in un finale chiuso, a mio parere, in modo frettoloso e approssimativo. Tutta la parte mystery poi poggia su una base fantasy molto ambigua che investe pochissimo i maestri oscuri del titolo ma è appannaggio quasi esclusivo di personaggi secondari che incontreremo nel corso della storia. Gli elementi fantastici sembrano in alcuni casi mutuati dalle credenze popolari dell'epoca, e così funzionano benissimo, salvo poi evocare, in altri momenti, suggestioni che stridono in questo contesto, giacché il romanzo, sin dalle premesse, si presenta come profondamente radicato alla realtà storica descritta. Gli stessi riti dei maestri oscuri sembrano più tribali che paranormali. Insomma l'elemento fantastico, se doveva esserci, avrebbe dovuto, a mio parere, essere messo al servizio dei maestri oscuri, contribuendo a porli al centro della narrazione. 
Per questi motivi tutto l' impianto narrativo, portato avanti magistralmente da personaggi ben scritti, si dissolve in una nuvola di fumo. Si rimane alla fine con un senso di incompiutezza che mette in ombra inevitabilmente anche tutti gli aspetti positivi e apprezzati dell'opera. 

Parte di questa delusione a malincuore la devo imputare a chi ha avuto la brillante idea di scrivere sulla copertina la dicitura "thriller storico". Le aspettative che il lettore si crea, come dicevo all'inizio, vengono chiaramente disattese. Se proviamo  a dare un'occhiata alla copertina inglese, praticamente identica in quanto a grafica, troviamo invece un sottotitolo che dà indicazioni più chiare al lettore: "a novel of the Dark Ages". 
Ecco, così non mi sarei sentita presa in giro. Certo non avrebbe cancellato la delusione finale e gli  elemento poco apprezzati, ma l'avrei semplicemente imputato al mio gusto personale. 




Sui prossimi due libri cercherò di spendere poche parole, soprattutto perché sono entrambi la prima parte di un'opera in più volumi, per cui darne un giudizio definitivo adesso sarebbe sbagliato. In genere, anche se il primo libro di una saga, trilogia o quello che è non mi convince del tutto, gli do comunque una possibilità. E sarà così anche in questo caso perché, almeno in ambito libresco, sono un'inguaribile ottimista! Inoltre sono talmente famosi che non occorre che io mi spenda in fiumi di parole.

Ora, so già che se per puro caso, qualche web-errante si trovasse da queste parti e leggesse questo post mi beccherei i peggiori anatemi possibili. I testi di cui parlo infatti hanno avuto un grande successo di pubblico. Sto parlando de "l'Ombra del vento" di Carlos Ruiz Zafón e di, ebbene si, "La casa per bambini speciali di Miss Peregrine" di Ransom Riggs.
Premetto però che vale qui lo stesso discorso che ho fatto per "I maestri oscuri". 
Non è che io li reputi delle fetecchie ma ci sono degli elementi che comunque non mi hanno permesso di promuoverli a pieni voti. 

Mi spiego meglio, partendo dal primo


 L'OMBRA DEL VENTO





Titolo: L'ombra del vento
Autore: Carlos Ruiz Zafón
Editore: Mondadori
Data di uscita: 03/07/2006
Pagine: 448



Lo confesso. I bestseller mi fanno sempre un po' paura. Quando un libro diventa un successo mondiale e ne parlano tutti non so mai cosa aspettarmi. Di solito, passata l'euforia e spenti i riflettori, lo vado a recuperare, perché sono una lettrice curiosa e talvolta anche masochista. Quando ho iniziato a leggere "L'ombra del vento" non avevo nessun tipo di aspettativa né alcun preconcetto, perché mi era stato consigliato da lettori di cui mi fido.
In effetti non posso dire che non mi sia piaciuto ma non me la sento di definirlo un capolavoro purtroppo.

Un'accenno alla TRAMA : Siamo a Barcellona nell'estate del 1945. Il piccolo Daniel Sempere viene portato da suo padre, proprietario di una piccola libreria, in un posto molto particolare.
Un luogo dove vengono conservati tutti quei libri dimenticati dal tempo. Siamo nel Cimitero dei libri dimenticati, dove i libri vengono salvati dall'effetto devastante dell'oblio. Il padre di Daniel, come da tradizione, gli chiede di sceglierne uno e "adottarlo". Il ragazzo, senza esitazione sceglie un'opera di un certo Juliàn Carax, dal titolo "L'ombra del vento". 

Se c'è una cosa che amo di un libro è quando parla di altri libri. Il vero protagonista, ci rendiamo conto man mano che procediamo nella lettura, è  proprio quest'opera.
Le vite di tutti i personaggi che incontriamo si intrecciano grazie ad esso.
Daniel si sentirà talmente legato alla figura dell'autore da intraprendere una ricerca personale per scoprire qualcosa di più su questa figura che pare avvolta nel mistero. 
In questa sua impresa sarà accompagnato, tra gli altri, da Fermin Romero de Torres, un personaggio che con i suoi saggi consigli e il suo pungente umorismo mi ha conquistata sin da subito.
Ho amato tantissimo Fermin. A mio parere è il protagonista dai dialoghi più belli, più saggi e più divertenti di tutto il libro.



                  "Mi ascolti, Daniel! Il destino suole appostarsi dietro l'angolo,
                  come un borsaiolo, una prostituta o un venditore di biglietti della lotteria,
                  le sue incarnazioni più frequenti.
                  Ma non fa mai visite a domicilio. Bisogna andare a cercarlo."



                 "-Torni immediatamente a letto Fermin, per l'amor di Dio.-
                   -Non se ne parla neanche. è un dato statistico: muore più gente nel 
                         proprio letto che in trincea." [...]
                   -Va bene, ma se solo solleva qualcosa più pesante di una matita, mi sentirà."
                   -"Ai suoi ordini. Ha la mia parola che oggi non solleverò neanche un dubbio."



In generale tutti i personaggi sono sviluppati bene. Spesso ci vengono forniti particolari anche di personaggi marginali. Tante microstorie che si innestano nella storia principiale. 
Tutti questi personaggi si muovono e agiscono in una Barcellona molto cupa, gotica quasi, dal cielo plumbeo. Una città immobile, avvolta nella nebbia, che rispecchia il momento storico che sta vivendo: Francisco Franco è al potere. La Spagna è sotto un regime dittatoriale. Il senso di oppressione è palpabile. Questo è forse l'aspetto che mi ha colpito maggiormente. Nell'immaginario comune  la Spagna è sempre associata ad un'idea di allegria, positività, cieli azzurri e sole a catinelle, come direbbe Zalone. 
Questo lato decadente non l'avevo mai considerato e mi ha davvero conquistata. Chiuso il libro, ho proprio desiderato immergermi di nuovo in quell'atmosfera. 

Purtroppo non posso dire altrettanto del resto. Nonostante Zafón riesca a destreggiarsi bene tra vari piani temporali e vari generi letterari (perché "L'ombra del vento" è un giallo ma anche romanzo storico, di formazione, sentimentale, comico persino) ad un certo punto l'impalcatura, talmente ricca di fatti, personaggi, trame e sottotrame, sembra crollare. A tre quarti del libro ho avuto come l'impressione che l'autore non riuscisse più a "saltarci fuori" come dicono da queste parti. 

Una cosa che poi ho trovato davvero inverosimile è che ogni personaggio che Daniel incontra, e al quale chiede informazioni riguardo Carax , sembra quasi che non aspettasse altro. 
Tutto questo alone di mistero sul suo conto e poi tutti sanno tutto di lui e non vedono l'ora di rivelarlo ad un diciottenne sbarbatello che neanche conoscono.
Questi mini racconti, in genere di diverse pagine, presi da soli, fuori dal loro contesto, sono ben fatti e in certi casi, per quanto mi riguarda, mi hanno appassionato più del romanzo stesso, ma sono inseriti malissimo all'interno dell'opera principale, in modo poco credibile. Uno su tutti, il racconto di Jacinta.
Apprendiamo poco prima che Jacinta è una donna anziana ricoverata in un ospizio. Quando Daniel e Fermin la incontrano per chiederle informazioni su Carax, la vecchina, che sonnecchiava su una sedia, ha appena un filo di voce "la voce era un soffio" ci fa sapere Daniel. Da quando apre la bocca parte un racconto di ben 19 pagine, molto dettagliato. Ora, anche ammettendo che a Jacinta fosse venuta tutta questa voglia di parlare, appurato che l'anziana donna sia lucida, può mai essere che si metta a raccontare particolari anche molto personali della sua vita a due emeriti sconosciuti? Inoltre i due non hanno molto tempo per stare lì con lei (non dico il motivo in quanto farei spoiler). Puoi sospendere l'incredulità quanto vuoi ma da qui in poi ogni mini racconto di questo tipo sarà inserito nella storia in modo maldestro e lo si avvertirà.

Il finale poi è pressoché scontato. Ci accorgiamo che tutti quei racconti non ci hanno lasciato neanche un po' di dubbio o suspence. Come se Zafón si fosse giocato subito tutte le carte e ci avesse bruciato il finale. 
Peccato davvero. Nonostante ciò Fermin Romero de Torres rimane uno dei personaggi più belli e interessanti che io abbia incontrato durante il 2016. E proprio per lui e per la cupa Barcellona credo che leggerò il seguito "Il gioco dell'angelo. Dai Zafón, sorprendimi!




Infine, e qui mi gioco ogni ipotetico follower, l'ultimo libro che non mi ha convinto tra le mie letture dello scorso anno è stato   


 LA CASA PER BAMBINI SPECIALI DI MISS PEREGRINE





Titolo: La casa per bambini speciali di Miss Peregrine
Autore: Ransom Riggs
Editore: Bur Rizzoli
Data di uscita: 2012
Pagine: 382



Ok, vado a mettermi in un angolino in ginocchio coi ceci sotto!
Mea culpa. Già, la colpa è mia. Il "packaging" del libro mi aveva dato l'idea di trovarmi di fronte ad una storia creepy alla "American horror story", per intenderci. Insomma, quelle meravigliose foto mi facevano pregustare una storia horror o che ci andasse perlomeno vicino. 
Non avendo letto la trama ne ero proprio convinta
E niente. Come non  detto. Mi sono sbagliata, ci può stare.

La TRAMA è nota a tutti, anche grazie alla recente uscita della versione cinematografica diretta da Tim Burton. Jacob Portman, a seguito di una tragedia familiare, si reca in una piccola isola gallese, per cercare un gruppo di bambini dalle particolari abilità, che vivono in una casa sotto l'ala protettiva (LOL) della direttrice miss Peregrine. Di queste persone e di questa casa il nonno gli ha parlato molte volte durante la sua infanzia. Jacob vuole così scoprire quanto ci sia di vero negli strani racconti del nonno. 

Ammetto che, nonostante mi aspettassi altro, la storia in sé non mi è dispiaciuta.
Sono ancora curiosa di sapere come va avanti, dopo il primo volume, anche perché, in tutta franchezza, non ci ho capito molto. Sarà l'età. Magari adesso che i bambini, grazie alla magia del marketing, sono diventati ragazzi, ci capirò qualcosa. Mah.
Magari mi affezionerò al piccolo Jacob, visto che tra noi non è scoccata la scintilla.
Spero che nel frattempo anche Riggs si sia affezionato a lui, visto che sentimenti da parte sua, nei confronti del ragazzo ne ho avvertiti pochini.
Detto questo, trovo interessante la parte storica riguardante il nonno e, ovviamente i bambini, insolita per un fantasy. Inoltre sono curiosa di vedere come verranno gestiti i vari piani temporali e il problema "Giorno della marmotta". Ehm, si, ci siamo capiti. Spoiler free version, la mia.
Però aspetterò in tutta calma che si decidano a stampare delle edizioni economiche perché noi povery le edizioni in kartonato non ce le possiamo permettere 11!!1! 

Dopo questo lungo polpettone, dato che si è fatta una certa, mi ritiro nelle mie stanze, sperando di non averti offeso web-errante che ti sei trovato a passare di qui e hai avuto l'ardire di andare fino in fondo a questo mio delirio scritto. Anzi, se hai voglia di smentirmi e dirmi la tua, fatti avanti. Sappi che queste sono solo impressioni personali dettate dal gusto di una lettrice sclerata con qualche capello bianco e le moppine coi pon pon.
Capito il soggetto?



Pace & onestà intellettuale
Stay tuned


                                             
























5 gen 2017

Parole, immagini e suoni. Il mio 2016 #1-PAROLE

Anno nuovo, tempo di bilanci.
 L'idea è quella di sfornare una serie di posts su letture, film/serie tv e musica che mi hanno accompagnato durante il 2016.
Scoperte, riscoperte ma anche delusioni libresche, filmiche e musicali sono l'unico bagaglio che vale la pena portarsi dietro nell'anno a venire.
 Tutto il resto del 2016 lo butto nello sciacquone e tiro la catenella!

Inizio dai libri perché questo per me è stato l'anno del ritorno alla lettura.
 Non perché avessi smesso del tutto -non ci riuscirei mai!- ma ho ripreso a farlo coi vecchi ritmi.
E, devo dire, anche con un piglio diverso e con rinnovato entusiasmo.

 Per questo devo dire grazie ad una cara amica. Grazie a lei ho scoperto l'esistenza dei booktubers,  amanti della lettura che su Youtube parlano di libri, fanno recensioni, dispensano consigli e tante altre belle cose inerenti il mondo della letteratura in generale.
 Lei stessa ha un canale ed anche un suo blog. Così, grazie a lei e ai suoi colleghi booktubers, ho scoperto termini come TBR, book haul e via discorrendo. Mi si è aperto un mondo e pian piano sono tornata nel binario dal quale il mio treno era deragliato, fino a spingermi a riesumare questo blog dai meandri del web. Vediamo che succede.

Tornando alle mie letture devo dire che nonostante nel primo semestre dell'anno avessi meno tempo, è stato proprio quello il periodo più produttivo.
 A inizio anno tra i buoni propositi mi ero "imposta" di leggere almeno un libro al mese. Il mio 'reading journal' dice che ho letto 31 romanzi e 3 racconti. Non male!
Di questi solo 3 sono scritti da autori italiani e solo 3 sono ebook. Questa osservazione mi ha portato a stilare un'altra lista di buoni propositi letterari per il 2017.
Ma prima di approfondire meglio questo aspetto e definirne i dettagli, vorrei scrivere due parole su quello che queste letture mi hanno lasciato.

Ero tentata di fare una sorta di classifica dei top e dei flop, ma fortunatamente di flop veri e propri non me ne sono capitati. Solo qualche "meh".
 Ci sono stati dei libri che ho amato meno, altri che mi hanno fatto arrabbiare per il potenziale sfruttato male, ma vere e proprie ciofeche no. Deo gratias!
Farò così una piccola classifica dei libri che più ho amato ma in ordine sparso.
 Sono comunque tutti titoli che vorrei rileggere. Infatti la prima domanda che mi pongo di solito dopo aver letto un libro è:   " Lo rileggerei?"
 Se la riposta è affermativa allora vuol dire che è scoccata la scintilla!



1) Come la madonna arrivò sulla luna 



Titolo: Come la madonna arrivò sulla luna
Autore: Rolf Bauerdick
Editore: Feltrinelli
Pagine: 480
 
    In assoluto il mio libro preferito del 2016. Impossibile riassumere in due righe la bellezza di questo libro. Una bellezza che non è prorompente in realtà, poiché questo è uno di quei romanzi che va assaporato un boccone alla volta. Vietato strafogarsi!
 Ambientato in un piccolo borgo tra i Carpazi, il narratore Pavel Botev, nipote dell'oste del paese, ci accompagna lungo tutti i decenni della guerra fredda, dal lancio dello Sputnik con a bordo la cagnetta Laika sino alla deposizione del conducặtor Ceaucescu. Non viene mai detto chiaramente ma è palese che sotto il nome di 'Transmontania' si celi la Romania.
 Pur essendo raccontato da una sola voce, il punto di forza di questo romanzo è il suo essere un'opera corale. Una galleria di personaggi diversissimi tra loro popola infatti queste pagine. Tra questi spicca Dimitru, il 'nero'.  I suoi discorsi tragicomici, i suoi neologismi, le sue imprese quasi picaresche (e qui c'entra il titolo) ce lo fanno amare  dalla sua prima apparizione. Mi ha ricordato molto, non solo per il suo ruolo di comprimario, quel Fermin Romero de Torres, personaggio di spicco de "L'ombra del vento" di Zafon.

 Bauerdick, l'autore, oltre ad essere scrittore è giornalista e fotografo. Premiato più volte per i suoi reportage che lo hanno portato a viaggiare in molti Paesi, ha vissuto da vicino la realtà di molte minoranze etniche come i Rom, comunità della quale Dimitri fa parte. La profonda conoscenza delle dinamiche che intercorrono tra popolazioni diverse che si trovano a vivere fianco a fianco si sente ed ha fatto sì che i personaggi del suo romanzo risultino veri, vivi, palpabili. E grazie a ciò la ricostruzione storica ha un peso diverso perché non è solo un semplice sfondo dove si svolgono le vicende ma si intreccia al vissuto delle persone comuni dandoci l'idea di come dev'essere assistere a grandi eventi storici da una piccola osteria di un paesino sperduto tra le montagne.
 Non aggiungo altro, per il momento. Non mi sogno neanche di spiegare a cosa si riferisce il titolo. Bisogna scoprirlo da soli. Ne vale davvero la pena.


2) Chaos walking, la trilogia


Titolo: 1- Chaos, la fuga; 2- Chaos, il nemico;3- Chaos, la guerra
Autore: Patrick Ness
Editore: Mondadori
Pagine: 1200

Ness sta spopolando con il suo "Sette minuti dopo la mezzanotte", trasposto nel frattempo anche sul grande schermo. Un libro per ragazzi che ho apprezzato ma che non mi ha fatto gridare al capolavoro, diciamocelo.
Questa trilogia young adult di contro non ha, a mio avviso, riscosso il successo che meritava, perlomeno in Italia.
 E questo è un peccato.
 Perchè se Ness è stato per me l'autore dell'anno è proprio grazie a questa meravigliosa opera in tre volumi.
Il lancio di un franchise avrebbe potuto farne la sua fortuna o avrebbe allo stesso modo potuto distruggerla. Perché questa trilogia si discosta molto dagli YA a cui ci hanno abituato negli ultimi anni. È un'opera delicata, che affronta temi delicati e parte da premesse inconsuete. È stata erroneamente definita un'opera distopica ma non lo è. Il genere al quale si avvicina di più è sicuramente la fantascienza.
Accanto alle tematiche affrontate in opere analoghe ve ne sono altre in genere poco esplorate. Il fanatismo religioso, il controllo delle masse, la sete di potere, la redenzione, ma anche il rapporto uomo/natura e uomo/animale tra gli altri.

Nel primo libro incontriamo Todd il nostro protagonista. Egli è l'unico ragazzo che vive a Prentisstown, cittadina popolata da soli maschi adulti. Non ci è dato sapere su che pianeta ci troviamo, sappiamo solo che i coloni che vi si sono stanziati, la comunità di cui Todd fa parte, sono stati infettati da quello che loro chiamano il germe del Rumore. Tutti cioè possono sentire i pensieri di tutti. Ogni essere vivente sente di continuo questo interminabile brusio originato dai  propri pensieri e da quelli degli altri.  La nostra storia inizia con Todd che sta per compiere 12 anni e quindi, secondo le regole dei coloni, sta per diventare uomo. Nel Rumore il ragazzo però è riuscito a carpire qualcosa. Non sa bene cosa ma di sicuro è qualcosa di terrificante. L'unico amico con cui passa il suo tempo è il suo cane Munchee. Durante una delle loro passeggiate nei dintorni della cittadina, che è l'unica su tutto il pianeta, secondo gli adulti, Todd si imbatte in una specie di "buco" nel Rumore, una zona di silenzio. Da qui cominceranno le sue avventure e i segreti che gli sono stati tenuti nascosti, a poco a poco verranno svelati.
 Peculiare é la tecnica narrativa utilizzata che si serve di strumenti visivi per spiegarci come dev'essere vivere tra il Rumore. Ogni voce narrante ha il suo particolare registro e addirittura il suo personale font. In questo modo sappiamo sempre chi sta parlando. Il Rumore, come dicevo, viene reso "visibile" grazie all'uso di caratteri di varie misure in grassetto, sovrapposti e scombinati proprio come sono i pensieri.


 

 Addirittura troviamo pagine intere piene di Rumore e possiamo per un attimo immergerci nella realtà di Todd. Un'esperienza totalizzante quest'opera che, a mio parere, la pone un gradino più in alto dei vari 'Divergent', 'Hunger games' e compagnia bella.
Pur essendo una trilogia rivolta a giovani adulti, la consiglio a tutti, soprattutto a chi ancora non si è approcciato a Ness.


3)Alta fedeltà



Titolo: Alta fedeltà
Autore: Nick Hornby
Editore: Guanda
Pagine: 253

Da tanti anni desideravo leggere qualcosa di questo autore e finalmente ce l'ho fatta.
Ho scelto questo titolo perché sapevo trattasse di musica e non potevo fare scelta migliore.
Questo romanzo mi è piaciuto tantissimo, soprattutto per  lo stile di scrittura, sarcastico ma profondo. In più 'Alta fedeltà' è ambientato a Londra, città che amo all'inverosimile. Se poi ci aggiungiamo che siamo negli anni '90 l'effetto nostalgia rende il tutto più efficace.

Il protagonista, Rob Fleming, è appena stato lasciato dalla sua ragazza. È insoddisfatto della propria vita e del suo lavoro. Vorrebbe quella stabilità e quell'equilibrio che solo la musica riesce a dargli. Ma Rob non fa nulla per cambiare la situazione. È in fondo un immaturo ma non uno sprovveduto. Ce ne rendiamo conto dai suoi discorsi che sono molto profondi e ci danno l'idea di un uomo che a forza di vivere nel passato vede scorrergli davanti il presente ma non riesce ad afferrarlo.  Da ex deejay poi non può fare a meno di stilare delle classifiche, delle hit parades, su ogni cosa che gli capita nella vita. E ripercorrendola troverà, infine, la sua strada.
 Il punto forte del libro è proprio Rob, che è un po' il ritratto di una generazione. Mi ha ricordato per certi versi quegli over 30, senza arte nè parte, che negli anni '90 venivano meravigliosamente descritti dal mio amato Jarvis Cocker nelle canzoni dei Pulp. Suggestioni, nient'altro. D'altronde protagonista del libro è la musica. L'associazione è venuta così, "all'intrasatta", come direbbero a Napoli.
 Molti altri artisti musicali vengono citati nel libro. Scoprirli o riscoprirli rende l'esperienza di lettura ancora più completa.  Mi è venuta voglia di rileggerlo!

4)Il buio oltre la siepe- Harper Lee



Titolo: Il buio oltre la siepe
Autore: Harper Lee
Editore:Feltrinelli
Pagine:304

Ebbene si. Non avevo mai letto questo romanzo che pure mi ero ripromessa di leggere tante volte. La dipartita dell'autrice mi ha fatto sentire un po' in colpa per questa mia mancanza e quindi sono corsa ai ripari. E menomale, direi.
Uno dei libri che nell'anno appena trascorso mi ha tenuto incollata alle sue pagine. In passato mi era capitato più volte di vedere il film con Gregory Peck nella parte di Atticus Finch, avvocato vedovo che vive con i suoi figli e la domestica a Maycomb, città immaginaria dell'Alabama. Immaginavo che il fulcro della narrazione ruotasse attorno al processo di Tom Robinson, il bracciante di colore accusato di violenza sessuale che Atticus, nonostante l'ostilità di tutti, decide di difendere.
In realtà più di metà del romanzo la trascorriamo con Scout e Jem, i figli di Atticus e il loro amico Dill.
Siamo assorbiti dalle loro avventure e dai loro cambiamenti, giacché i fatti narrati coprono un lasso di tempo di tre anni. Ma proprio quando ci sovviene che non stiamo leggendo un libro di Mark Twain, il processo ha inizio.  Harper Lee affronta ed esplora questioni razziali e sociali del profondo sud dell'America degli anni '30 ponendo al centro questo meraviglioso personaggio che è Atticus, capace di ergersi a favore dei deboli in un ambiente intriso di pregiudizio e ipocrisia. Ho amato soprattutto il fatto che la sua immagine ci venga restituita dalla figlia, io narrante, ormai adulta ma che racconta gli eventi con gli occhi della bambina che era allora.  Oltre ad affrontare temi spinosi come il razzismo, l'emarginazione e le difficoltà sociali, purtroppo ancora attualissimi, "Il buio oltre la siepe" è anche un eccezionale esempio di romanzo di formazione. E in quanto a "coming of age" pare che non ne avessi abbastanza...



5) Il corpo (Stand by me) - Stephen King




Titolo: Stagioni diverse
Autore: Stephen King
Editore: Sperling
Pagine: 588

"Chi è LO Re?" Chiedeva al suo popolo Abatantuono nei panni di Attila flagello di Dio.
Ebbene 'Lo Re' per me sarà sempre lui: il solo, unico e inimitabile Stephen King.
Lo scrittore del mio personale "coming of age". Il primo autore che ho scelto io di leggere.
Colui il quale riesce a rendermi lieve anche una forma narrativa che non prediligo: il racconto.
Eppure questa è una delle più belle cose che io abbia mai letto.
Anche qui ci troviamo di fronte ad una storia di crescita.
 E anche se questo King non è quello a cui il grande pubblico è abituato, giacché non parliamo qui di horror in senso stretto, questa piccola perla è unica. Ed io amo King quando non è King. Mi spiego?
Le vicende sono probabilmente note grazie alla trasposizione cinematografica del 1986 con il compianto River Phoenix nei panni di Chris Chambers, uno dei quattro ragazzi protagonisti di questa avventura che si svolge alla fine dell'estate del 1960.
La vicenda inizia con la scoperta da parte di Vern, uno dei nostri, del corpo di Ray Brower, un loro coetaneo scomparso e mai tornato. Vern ne è venuto a conoscenza origliando una conversazione tra suo fratello maggiore e i suoi amici.
 I quattro ragazzi decidono così, di andare, di nascosto dagli adulti, a vedere il corpo.
 La voce narrante è quella di Gordon Lachance, ormai adulto, che racconta l'esperienza ricca di avventura vissuta coi suoi amici. Quattro ragazzini molto soli in realtà, ma che non hanno per niente voglia di ammetterlo.
Emerge in particolare il bellissimo rapporto di amicizia tra Gordon e Chris. Un'amicizia che non è destinata a durare e che ci porta a riflettere sul fatto che ognuno di noi, in un determinato momento della sua fanciullezza, ha avuto accanto quella persona, anche se la vita ci ha poi allontanato da essa. Ma in quel momento era l'unica persona che volevamo al nostro fianco e che ci capiva, il nostro migliore amico.
Tante profonde riflessioni, sulla giovinezza, sull'amicizia, sulle proprie paure, possiamo trarre da questo racconto e possiamo riconoscere King nel Gordon adulto, ormai scrittore affermato, provare la stressa nostalgia dei giorni della sua verde etade.
" Il corpo" fa parte della raccolta di racconti "Stagioni diverse". Questo è il racconto dell'autunno. Ho deciso di leggerne uno per ogni stagione. E' arrivato l'inverno, per cui è ora di leggere il prossimo.


Ed è anche ora di terminare questo post che è venuto più lungo di quanto mi aspettassi.
Rimanderò le impressioni riguardo ai titoli che non mi hanno convinto ad un altro post.
Per ora


Pace,thé & un buon libro
Stay tuned